Il fascino delle province che nessuno vuole più tagliare

Da “Il Fatto Quotidiano” online del 21 ottobre 2010

 

Mezzo governo le omaggia, ma ci costano 14 miliardi all’anno. Solo Brunetta si rifiuta di difendere le spese che l’esecutivo aveva promesso di abolire

C’eravamo sbagliati, le Province sono un ente utile. Questo è il messaggio che ieri il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, è andato a portare a nome del governo all’Assemblea delle Province italiane. Non proprio di tutto il governo, però. Infatti Renato Brunetta, il ministro più sensibile all’eliminazione degli sprechi, ha disdetto il suo intervento, non si è presentato alla due giorni dell’Upi a Catania e non ha voluto rilasciare alcuna dichiarazione in merito.  “Sono importanti perché sviluppano una funzione intermedia tra le Regioni e i Comuni” ha affermato Alfano. Supportato dal discorso d’apertura di Giuseppe Castiglione, presidente Upi nonché co-coordinatore del Pdl in Sicilia: “L’abolizione delle province non produrrebbe alcun risparmio per lo Stato, chi continua su questa strada deve uscire allo scoperto e dire senza mezzi termini che ha scelto di attaccare un’istituzione democratica puramente per demagogia e ai fini della lotta politica”.

Eliminare questi istituti, si accalora l’oratore, “comporterebbe solo meno democrazia, meno possibilità per i cittadini di fare valere le proprie ragioni, meno tutela dei territor”. Eppure Silvio Berlusconi e il Pdl, campagna elettorale del 2008, sembravano pensarla diversamente: l’eliminazione delle Province è stato uno dei cavalli di battaglia del premier, tra i dieci punti fondamentali del suo programma. E infatti Berlusconi a Catania non si è presentato, mandando soltanto un messaggio, comunque tutt’altro che minaccioso per il futuro dei dipendenti provinciali.

I presidenti di Consiglio delle province italiane hanno approvato un ordine del giorno nel quale si chiede un’azione di rivalutazione e legittimazione del ruolo delle “assemblee elettive come presidio democratico delle comunità territoriali rappresentate”. Così, per esempio, l’Upi torna a chiedere che materie come difesa del suolo, gestione di acque e rifiuti, politiche della montagna, trasporti e assistenza ai Comuni, siano ricondotte in modo organico in capo alle Province. E che spettino alle Province anche i tributi del trasporto su gomma. “Si trasformi l’imposta Rc auto in tributo provinciale – ribadisce Castiglione, che è anche presidente dell’Ente di Catania – e si assegni la compartecipazione all’accise sulla benzina, unitamente a quella della tassa regionale di circolazione dei veicoli”.

A fare le veci del governo a Catania è arrivato anche il più combattivo tra i ministri, il titolare della Difesa Ignazio La Russa, che ha rassicurato la platea – più elettoralmente che per competenza – sostenendo che “si può pensare a una maggiore flessibilità, pensando a un sistema che premi i virtuosi, secondo meriti effettivi legati a obiettivi precisi. Il governo sta offrendo alle Province tutti gli strumenti necessari perché diventino un istituto moderno, non solo perché continuino a esistere, ma affinché stabiliscano un rapporto nuovo tra istituzioni e cittadini”. Ad abolirle non ci pensa più nessuno. Tranne Brunetta.

di Michele De Gennaro

da il Fatto Quotidiano del 21 ottobre 2010

Come vincere le elezioni

Un interessante articolo di Jacopo Fo comparso su “Il Fatto Quotidiano” on-line del 20 agosto 2010.

*Quando hai escluso le possibilità possibili restano solo le possibilità impossibili.

Ti risparmio deprimenti analisi sulla situazione.

Credo che anche un eschimese sappia che rischiamo seriamente di vedere B. rivincere, l’altra possibilità è che vinca un’alleanza contronatura da Fini a D’Alema: tutti insieme pur di battere il Mostro. Farebbero un governo paralizzato che non sarebbe certo capace di affrontare i problemi drammatici che il Sistema Italia ha davanti.

Queste ipotesi sarebbero entrambe un disastro e un trionfo della Casta. Mi chiedo quindi: esiste un’altra possibilità?

In effetti esiste un’altra eventualità anche se presenta molte difficoltà.

Esiste un grande popolo progressista, migliaia di associazioni locali per la difesa del territorio, delle minoranze, per la promozione della cultura creativa e non violenta, gruppi di acquisto, cooperative sociali, volontariato, imprese etiche gruppi creativi. Un grande movimento che trova la sua unità in obiettivi concreti, battaglie che coinvolgono le persone sui problemi quotidiani.

Si calcola che in Italia vi siano alcuni milioni di persone che praticano una resistenza costante al sistema dominante e cercano di costruire momenti di vita alternativa.

Molte di queste persone aderiscono poi individualmente al PD, all’IDV, Verdi, Comunisti, Rifondazione, sinistra extraparlamentare, movimento di Grillo e ad altri gruppi progressisti.

Se esistesse uno schieramento elettorale che unisse tutte le associazioni e i raggruppamenti di base ci sarebbero molti che non votano più che lo voterebbero insieme a molti altri che oggi scelgono questo o quel partito del centro sinistra.

Penso a una lista di candidati scelti nella società civile, senza i vecchi leader politici.

Ma perché nasca e si sviluppi una simile forza politica ci vorrebbe troppo tempo e molto probabilmente di tempo non ne abbiamo. Soprattutto se si votasse entro la primavera.

Quale possibilità resta?

Nessuna.

A meno che…

C’è un punto di forza che potrebbe veramente portare a un rinnovamento politico.

Come ho detto dentro ai gruppi di base i militanti dei diversi partiti e movimenti progressisti vanno a braccetto, ogni giorno riescono a mettersi d’accordo su questioni concrete e a lottare assieme.

Che cosa succederebbe se queste persone portassero una proposta nuova all’interno dei partiti dei quali fanno parte?

Innanzi tutto c’è da dire che nei gruppi di base troviamo persone di grande valore che poi hanno una certa influenza nella sezione del loro partito politico.

Non sono militanti qualsiasi.

E mi chiedo: potrebbero riuscire a far passare nelle loro sezioni l’idea di liste di unità nazionale con dentro solo tecnici e persone di chiara fama e specchiata onestà provenienti dalla società civile? (i politici facciano un passo indietro)

Che cosa succederebbe se si presentassero mozioni in questo senso in tutte le sezioni chiedendo che vengano messe ai voti?

Che cosa succederebbe se si riuscissero a realizzare delle primarie di coalizione nelle quali si presentasse un candidato premier non proveniente dai partiti ma di grande spessore, che fosse portatore della proposta di liste senza politici?

Io credo che una simile proposta elettorale sarebbe la sola capace di sparigliare le carte e di far nascere un soggetto veramente nuovo, quello che il PD non ha saputo essere, nonostante l’impegno di tanti militanti di base.

Credo che una lista della società civile potrebbe unire chi è contro B., vuole il cambiamento, non ne può più del sistema dell’inciucio. E potrebbe portare al voto buona parte di quel 30% di non votanti. E potrebbe pescare voti a sinistra e a destra. E potrebbe vincere le elezioni.

Ovviamente se si tratta solo di un cambio di candidati non basta.

Bisognerebbe dare un grande segnale di cambiamento del metodo.

I programmi dei politici sono sempre belli, prima delle elezioni, poi in parlamento le leggi che passano sono altre, vedi Prodi che invece di cancellare le leggi pro B. fa l’indulto.

Ci vorrebbe un programma di governo che non enuncia principi vaghi, lasciando ai partiti il compito di mettersi d’accordo sulle leggi da votare in Parlamento, dopo le elezioni.

Perché non facciamo, una volta tanto, un programma elettorale con le leggi già scritte come verranno presentate e le date nelle quali verranno presentate? Cioè veri impegni con gli elettori non promesse vaghe.

E non sarebbe neanche difficile riuscirci.

Quando mia madre era senatrice realizzammo una ricerca e scoprimmo che sono giacenti al Parlamento, da anni, una serie di disegni di legge eccellenti. Molte di queste proposte legislative sono di una semplicità incredibile e produrrebbero un immediato, concreto, profondo, cambiamento del Sistema Italia.

Faccio un esempio. La lentezza del sistema giudiziario dipende in buona parte da una serie di procedure demenziali.

Ad esempio il meccanismo di notificazione delle convocazioni degli imputati ai processi. Se l’imputato non si fa trovare si deve rimandare l’udienza. Da anni giace una proposta di legge dei senatori D’AMBROSIO, FINOCCHIARO, SALVI, BRUTTI, che propone la possibilità di notificare la convocazione direttamente presso l’avvocato dell’imputato.

Secondo gli estensori della proposta questa semplice modifica, che tra l’altro produrrebbe un immediato risparmio di denaro e energie con una spesa di zero euro, produrrebbe una velocizzazione dei tempi giudiziari del 15%. I processi durerebbero, da subito, di meno!

Tre anni fa selezionammo 10 di questi disegni di legge, già belli scritti e presentati, e tentammo di lanciare una campagna di pressione perché venissero approvati immediatamente.

Riguardavano il risarcimento dei danni ambientali e delle vittime, le Class Action (la proposta fu poi massacrata e divenne la presa per il sedere che abbiamo ora), il sequestro dei beni mafiosi, la sicurezza del lavoro, l’amianto.

Tutte leggi a costo zero, tutte leggi di semplice buon senso. Ne scegliemmo solo 10 per non mettere troppa carne al fuoco. (Se vuoi vedere le proposte di legge vai su: http://www.jacopofo.com/node/3412)

Ci vorrebbe poco a selezionare 50 disegni di legge già scritti e presentati e dire: nei primi 15 giorni di governo li approveremo tutti in un unico pacchetto. B. ci ha insegnato come si fa! Si può fare! Facciamolo!!!!

Io credo che una coalizione che si presenti con un programma fatto di banalità indispensabili, dettagliato alla virgola, con la data di scadenza, senza politici di professione, oggi potrebbe raccogliere voti a sinistra e a destra, unendo finalmente gli italiani che vogliono iniziare a vivere in un paese normale, dove le cose funzionano.

Che ne pensi?

Se ti piace questa idea aiutami a farla conoscere.

Mi pare che domani sera, alle 21 ci sia una riunione della tua sezione.

Abbiamo vinto se riesci a far approvare una mozione a favore delle primarie di coalizione (a questo proposito, ottima l’iniziativa de Il Fatto Quotidiano http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/08/19/primarie-le-facciamo-noi/51239/), di liste composte da candidati provenienti dalla società civile e con un programma elettorale fatto di leggi già scritte e già presentate in Parlamento che ci si impegna ad approvare entro 15 giorni.

Se molte sezioni del Pd, dell’IDV, della sinistra extraparlamentare, di Grillo e altre entità di base approveranno questa risoluzione potremo sperare che cambi veramente qualche cosa.

Mi sembra l’unica possibilità. Improbabile, non impossibile. Certo sarebbe necessario che migliaia di persone decidessero improvvisamente che se vogliono dei partiti diversi devono farseli da soli.

Ed è sicuro che è così. Nessun leader miracoloso verrà a salvarci regalandoci partiti perfetti.

In fondo il ’68 è successo perché abbastanza persone si sono svegliate una bella mattina e si son dette: “Se po’ fa!”

Buon “se po’ fa” a tutti.

PS

Sulle enormi potenzialità che avrebbe una lista elettorale che unifichi la società civile e il pololo dei progressisti ti rimando alla lettura della bellissima lettera-appello di Michele Dotti: “I have a dream: il partito del buon senso. Ho fatto un sogno, è meraviglioso e non intendo più svegliarmi.”

http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/07/27/i-have-a-dream-il-partito-del-buon-senso/44603/

Province inutili e sprecone ci costano 14 miliardi all’anno

Ogni tanto torna d’attualità l’argomento dell’abolizione delle province. Argomento che  abbiamo sostenuto lo scorso anno durante la campagna elettorale e che regolarmente è passato dietro una grande indifferenza.

Qui di seguito riporto un articolo comparso su “Repubblica” il 5 marzo 2010.

L’inchiesta italiana. La fabbrica delle poltrone: dovevano sparire, ne stanno arrivando altre 21
Si contano 19 enti con meno di 200 mila abitanti. Il record in Sardegna: ne ha 8, le più piccole

Province inutili e sprecone
ci costano 14 miliardi all’anno

Per mantenerle 160 euro a carico di ciascun italianodi CARMELO LOPAPA

Province inutili e sprecone ci costano 14 miliardi all'anno

ROMA – L’ultima occasione per nuove infornate milionarie l’ha fornita il decreto sulla Protezione civile appena approvato dal Parlamento. Alle Province colpite da calamità naturali e dichiarate in stato di calamità (ed è noto con quale frequenza accada in Italia) è assegnata in via straordinaria “una somma pari a euro 1,5 per ogni residente”. Col decreto enti locali votato ieri con la fiducia alla Camera, arriva il taglio progettato dal ministro della Semplificazione Calderoli, ma il 20 per cento dei consiglieri in meno scatterà solo a cominciare da quelli che verranno eletti in futuro.

Dovevano essere soppresse, stando ai proclami del premier Berlusconi in campagna elettorale. Di quei proclami, due anni dopo, non si ha più traccia. E qualsiasi progetto di riforma fa ormai fatica a scalfire quei 110 centri di potere che sono le Province italiane. In compenso, com’è noto, di province ne sono nate di nuove anche negli ultimi anni: sette. Costano allo Stato 14 miliardi di euro l’anno. Danno lavoro a 61 mila persona.
Ma a chi fa gioco la loro sopravvivenza, dipendenti a parte? Quali interessi girano dietro questo giro vorticoso di finanziamenti e poltrone? Perché i politici di destra e sinistra sono tornati sui loro passi e ora difendono a spada tratta enti fino a poco tempo fa giudicati “inutili”?

GLI SPERPERI
Enti e poltrone da moltiplicare, nuove funzioni e fiumi di risorse in arrivo. La grande attesa adesso è tutta per i decreti attuativi del federalismo fiscale. Che delegherà agli enti intermedi tra Regioni e Comuni una buona fetta di competenze. Alle quali – mettono avanti le mani gli amministratori provinciali – dovranno corrispondere risorse adeguate. Gli enti gestiscono strade e immobili scolastici, promuovo i prodotti del territorio, certo. Garantiscono servizi che i cittadini nemmeno immaginano vengano forniti dalle Province. Queste sconosciute e comunque benemerite, per certi versi. Per altri, tuttavia, un po’ meno. Su come vengano utilizzati i fondi a loro disposizione la pubblicistica è vastissima e si aggiorna ormai di settimana in settimana. Un mese fa, l’opposizione alla giunta provinciale di Venezia ha denunciato i 9.240 euro spesi per il lampadario in vetro di Murano del Palazzo (sede dell’ente) di Cà Corner, che ora fa bella mostra tra il quarto e il quinto piano vicino la sala di rappresentanza. Ma anche i 28mila euro spesi per le trasferte della sola giunta guidata dalla leghista Francesca Zaccariotto in novembre. Con la presidentessa, fresca di elezione nel giugno scorso, che sull’elegante pezzo d’arredamento si è giustificata: “Non ci trovo nulla di scandaloso. C’era bisogno di un lampadario, mica potevamo mettere un neon a Cà Corner” (Corriere veneto, 27 gennaio).

Proprio sotto la voce Province, si scopre che in tema di spese il virtuoso Nordest non ha nulla da invidiare alle bistrattate giunte meridionali, se è vero che a Trento ancora si chiacchiera del finanziamento da 300 mila euro erogato dalla Provincia autonoma a beneficio della fondazione universitaria dei Focolarini di Firenze, “Sophia”. Oppure dei 439 mila euro stanziati dalla medesima giunta, guidata dal rutelliano Lorenzo Dellai, per la ristrutturazione della sala stampa dell’ente (48.592 solo per l’incarico all’architetto). Neanche fosse destinato alle conferenze stampa del prossimo G20. Il 22 febbraio, il capogruppo Pd alla Provincia di Napoli, Pino Capasso, attacca: “L’amministrazione Cesaro (centrodestra, ndr) ha promesso agli elettori sobrietà nelle spese, ma ha portato l’importo per contributi ad associazioni amiche fino 3 milioni e 144.414 euro. Tra le iniziative ritenute fondamentali, “Cogli l’attimo”, euro 9.800, “C’è di più per te” o “Sognando di diventare campioni tirando la fune” euro 5.000. E Sant’Antimo, città di origine del presidente Cesaro, batte tutti con aiuti per euro 125.832″.

LE MISSIONI D’ORO
Ma è storia di questi giorni anche la “generosa” spedizione di presidenti di province e assessori siciliani alla Bit di Milano. Roba che ha fatto gridare allo scandalo consiglieri regionali del Pdl. Alla prestigiosa Borsa del turismo si sono presentati, al seguito del governatore Raffaele Lombardo, e tre suoi assessori, tra gli altri i presidenti delle Province di Palermo (Giovanni Avanti), di Trapani (Girolamo Turano) e Ragusa (Francesco Antoci), tutti di centrodestra. “Di quante persone era composta la comitiva della Regione, a quale titolo erano presenti i partecipanti e poi, risponde al vero che la spesa sostenuta dalle casse regionali si è aggirata intorno al milione di euro” incalza un’interrogazione di queste ore del Pdl. Va detto che gli enti intermedi esistono in tutta Europa, anche il Pd si guarda bene dal proporne la soppressione delle Province.
Ma c’era davvero bisogno di nuovi enti? Di nuove amministrazioni locali, coi loro uffici, i loro consigli-mangiatoia dei partiti, con le nuove inevitabili poltrone? E che senso hanno le mini province, alcune delle quali nate di recente?

Se ne contano 19 con meno di 200 mila abitanti, sono il 17 per cento del totale. Isernia di abitanti ne conta addirittura 89 mila. Ma il record è della Sardegna. Non solo per averne 8 per un territorio da 1 milione 600 mila abitanti (andranno tutte a rinnovo a maggio). Ma anche perché in ultimo ne ha viste proliferare altre quattro. Tutte in versione short. Sono le province più piccole d’Italia: Medio Campidano (105.400 abitanti), Carbonia Iglesias (131.890 abitanti), Olbia Tempio (138.334 abitanti) e quella di Ogliastra (solo 58.389 abitanti). Le prime due nate nel territorio della provincia di Cagliari, la terza di Sassari e l’ultima in quello della provincia di Nuoro. Ognuna coi suoi consiglieri, i suoi assessori, i suoi presidenti. E i suoi dipendenti, almeno quelli, distaccati.

I TAGLI, DIMENTICATI
La verità è che sulle Province non c’è giro di vite che tenga. Il decreto taglia-poltrone del ministro Roberto Calderoli ha dovuto fare i conti col muro di gomma della lobby degli amministratori (di destra e sinistra, senza distinzioni). Difficile incidere sul costo pro capite dell’ente Provincia su ciascun cittadino, stimato di recente in 160 euro l’anno (con picchi nell’Italia centrale: 178 euro, al Nord è 164, al Sud 143 euro). In Basilicata, si legge nella relazione al ddl di soppressione delle Province presentato dal dipietrista Massimo Donadi, la spesa pro capite – non si sa perché – sarebbe di oltre 240 euro. “Il nostro candidato sa bene che lavorerà per un ente che presto aboliremo” annunciava il 3 aprile 2008 Silvio Berlusconi al fianco del candidato Pdl alla presidenza della Provincia di Roma. E rincarava: “Dal momento della fondazione delle Regioni, tutti si aspettavano l’abolizione delle Province. Abbiamo calcolato che se ne ricaverebbe un risparmio di dodici miliardi di euro”. Considerazioni che erano state prese sul serio da tutta la stampa di destra. “Appello a Berlusconi: elimina le Province”, titola il 29 novembre 2008 Libero nel giorno in cui lancia la campagna conclusa con l’inutile raccolta di migliaia di firme (“Silvio batti un colpo, ricorda le tue promesse”). Di quella campagna, di quelle promesse, a inizio 2010 non vi è più traccia, anche se la spesa è cresciuta a 14 miliardi e le province sono diventate 110. Da dicembre, l’Unione delle province italiane è guidata dal presidente di quella di Catania, l’ex eurodeputato Giuseppe Castiglione, pidiellino. Detentore di uno dei pacchetti di voti più consistenti che Silvio Berlusconi possa contare nel granaio elettorale siciliano. “Non intendiamo fare una battaglia corporativa. Siamo anche disponibili al taglio delle poltrone, io stesso ho ridotto da 15 a 9 gli assessorati in Provincia di Catania, quasi azzerato le consulenze rispetto al mio predecessore Lombardo” racconta nello studio della sede Upi di Palazzo Cardelli nell’omonima piazza del centro storico di Roma. Edificio di prestigio che fino all’81 fungeva da ufficio della potente corrente dorotea Bisaglia-Rumor e che dall’87 l’Upi affitta, con i suoi 500 metri quadri, per un canone di 7 mila euro al mese. “Siamo disponibili anche a discutere di accorpamenti di Province  –  riprende Castiglione  –  quel che chiediamo è che col federalismo fiscale ci vengano garantite risorse adeguate alle nuove competenze, che si apra la strada per una nostra autonomia finanziaria. Forniamo servizi ai cittadini, è giusto poterlo fare al meglio”. Rivendicazioni che il presidente Upi ha già avanzato negli incontri del 10 febbraio con i presidenti di Camera e Senato, Fini e Schifani. “Il problema non è la soppressione delle Province, soluzione semplicistica e improponibile – spiega Walter Vitali, senatore Pd, ex sindaco di Bologna, una vita spesa sulle politiche degli enti locali del suo partito – Sono enti intermedi che esistono in tutta Europa. Quel che noi proporremo con un ddl, in una chiave di riforma costituzionale, sarà l’introduzione del modello spagnolo. Mantenerle come istituzioni, ma eliminando il ceto politico provinciale: con consigli composti solo dai rappresentanti dei comuni e non da politici da eleggere”. Il presidente Upi Castiglione alza già barricate: “Siamo pronti a discutere anche della revisione dei confini delle Province. Ma non a trattare sul tema della legge elettorale”.

Come sopravvivono oggi le Province? Da dove provengono i 14 miliardi necessari a mantenerne strutture e dipendenti? Come si provvede alle indennità di giunte e consiglieri?
Oggi, le entrate tributarie incassate direttamente dalle Province ammontano a poco meno di 4 miliardi di euro (3 miliardi 748 milioni, a fine 2009), derivanti per lo più da Rc auto (1,5 miliardi), imposta di trascrizione (881 milioni) e addizionale energetica (682 milioni di euro). Per coprire il fabbisogno però ne occorro-no altri otto, di miliardi, stando al più recente report sullo stato della burocrazia e delle finanze delle Province, predisposto dall’Upi. Servono per le funzioni topiche di questi enti, ovvero la viabilità (3 miliardi), la tutela ambientale (900 milioni), l’edilizia scolastica (1,6 miliardi), lo sviluppo economico (1,2 miliardi). Ma anche tanto altro.

I CORSI DI FORMAZIONE
Ad esempio, pochi sanno che le Province ancora organizzano e gestiscono i corsi di formazione professionale per una spesa di 800 milioni di euro, sovrintendono ai Centri per l’impiego, per 500 milioni, gestiscono il trasporto pubblico extra urbano per 1,3 miliardi, si occupano di promozione turistica e sportiva dei loro territori per 550 milioni. E poi c’è il capitolo personale. I 61.000 dipendenti (il 23% laureato) assorbono 2 miliardi 450 milioni di euro del budget, pari al 25 per cento. E poi ci sarebbe l’altro capitolo, quello più dibattuto, i compensi dei 4.207 amministratori: ovvero i 107 presidenti, i 107 vice, gli 863 assessori, i 107 presidenti dei Consigli, i 3.023 consiglieri. Sono i “politici” provinciali, ai quali sono desinati 119 milioni di euro l’anno. Di questi, poco più della metà (53 milioni) assorbita dalle indennità di presidenti, vice, assessori e presidenti dei consigli. Il resto (65 milioni) a beneficio dei consiglieri e dei loro gettoni. Oggi, il presidente di una piccola provincia (sotto i 250 mila abitanti) gode di un’indennità di 4.130 euro lordi mensili, quello di una grande provincia (oltre il milione di abitanti) un’indennità da quasi 7 mila euro.

Oltre alle quattro miniprovince sarde, le ultime nate, com’è noto, sono quelle di Fermo (nelle Marche), di Barletta-Andria-Trani (in Puglia) e di Monza e Brianza. Solo per mettere in piedi quest’ultima sono stati necessari 47 milioni di euro. “Sprechi? Guardino altrove, le Province sono fondamentali” sbotta nel giugno scorso il sindaco leghista di Monza, Marco Mariani, entusiasta per la nascita del nuovo ente brianzolo. Le richieste ancora in piedi per istituire nuove province sono 21. Come dire: ventuno nuovi consigli provinciali (con relativi gettoni di presenza), ventuno nuovi presidenti di provincia, giunte provinciali, altrettanti nuovi prefetti e i loro dipendenti. Si spazia dalla provincia di Sibartide-Pollino a quella del Canadese e delle Valli di Lanzo. Da Lanciano-Vasto-Ortona a Frentania (una provincia con quattro capoluoghi). Qualche tempo addietro l’attuale ministro Gianfranco Rotondi ne ha presentate otto: Sulmona, Bassano del Grappa, Marsi, Sibartide-Pollino, Melfi, Aversa, Venezia Orientale e Avezzano.

L’originale si può trovare a questo link:

Legal…mente – Crescere per far crescere

Le scuole del 1° e 2° circolo di Nova Milanese, con il patrocinio del comune stesso presentano delle serate a tema dedicate ai genitori della scuola primaria e dell’infanzia.

Gli interlocutori sono di prim’ordine, a partire da Piercamillo Davigo, la Prof.sa Stefania Crema e don Antonio Mazzi.

 La legalità tanto vituperata in questo periodo di scandali e attacchi istituzionali alla Magistratura. Ma chi ha ragione? Quale il comportamento che dobbiamo avere? E perché? E cosa stiamo insegnando ai nostri figli? Quando saranno grandi come si comporteranno loro? Quale sarà il loro pensiero? Parliamone.

 

Presentazione degli incontri

 

Calendario degli incontri

L’acqua un bene prezioso

Nova Milanese, 12 Febbraio 2010
Ieri sera alla scuola media di via Biondi ho partecipato a una mostra interattiva di sensibilizzazione sul valore importantissimo dell’acqua per l’uomo.

La mostra curata dal PIME e patrocinata dal comune di Nova Milanese è stata presentata dall’assessore Longoni Rosaria, che ha colto l’occasione per informare i presenti di una futura installazione della “casa dell’acqua”.

 

 Casa dell’acqua a Lorenteggio

Iniziativa lodevole che permetterà ai cittadini di conoscere meglio “l’Acqua del Sindaco”.

Ma cosa sono la “casa dell’acqua” e “l’acqua del sindaco”? Facciamo qualche considerazione e cerchiamo di capirlo.

Gli italiani sono purtroppo in cima alle classifiche per il consumo dell’acqua in bottiglia. Pensate: l’acqua alla fonte viene imbottigliata in conteniitori di vetro (pochi) e plastica (molti). Successivamente viene trasportata su strada fino ai grandi magazzini dove il cittadino provvede all’acquisto e se la porta fino in casa.

Questo ciclo produce tanta plastica (seppure da tempo abbiamo cominciato a riciclarla) e un enorme consumo di energia prodotta dalla combustione di prodotti fossili (Gasolio da autotrazione per dirla terra-terra). L’acqua parte da sud e finisce al nord e dal nord finisce al sud, dal centro va in tutte due le direzioni e produce inquinamento.

Inoltre è da considerare il controllo fatto sulla bontà dell’acqua. Se qualche volta avete letto le date delle analisi sulle etichette incollate alle bottiglie, avrete notato come risalissero a molto tempo prima di quando l’avete acquistata. E questo è perfettamente legale. Ma nessuno è in grado di garantire che l’immagazzinamento, il trasporto e lo stoccaggio temporaneo preservi l’acqua delle bottiglie da eventuali fonti di luce o di calore (immaginatevi ad esempio l’autotreno che trasporta le bottiglie infilato in una bella coda sotto il sole d’estate).

Ma noi riusciamo counque a farci convincere dalla pubblicità a comprare questa acqua in bottiglia, mentre dal nostro rubinetto sgorga direttamente vicino alla nostra tavola e per di più controllata giornalmente. Bene, questa è “l’Acqua del Sindaco” che tra l’altro ci costa circa 1/1000 circa di quella in bottiglia (Non ho sbagliato, ho scritto proprio un millesimo).

In un prossimo futuro (l’assessore non ha fornito date precise) il comune di Nova Milanese, sulla scia di tanti altri che lo hanno già fatto, installerà una “Casa dell’Acqua”. Questa “Casa” funzionerà come un distributore a cui ognuno potrà approvvigionarsi per fornirsi di acqua refrigerata e anche addizionata di CO2 (per chi preferisce quella gasata).

Cittadini fanno rifornimento

E per continuare sulla strada del risparmio è stato annunciato che anche nelle mense scolastiche ci si sta avviando all’uso delle caraffe d’acqua corrente in sostituzione delle bottiglie da mezzo litro.

E noi cosa aspettiamo a cambiare abitudini?

Alla prossima puntata qualche riflessione sulla recente legislazione che obbliga i comuni a privatizzare il servizio che riguarda l’acqua. A dir poco anacronistico.

In bilico tra tasse e debito

Firmato con lo pseudonimo “Superbonus” ecco un articolo tratto da “Il Fatto Quotidiano” di oggi 24 Gennaio.

Ci siamo: i toni del presidente del Consiglio iniziano a cambiare, da: “Aboliremo l’Irap” e “abbasseremo le tasse, dobbiamo essere soddisfatti di essere riusciti a non mettere nuove tasse”.
Lo ha detto Berlusconi in Toscana venerdì, e la frase campeggia a tutta pagina sul sito Internet del Pdl. La distanza fra le promesse funamboliche e la prossima finanziaria che dovrà trovare 30 miliardi di euro fra tagli alla spesa e nuove entrate doveva essere accorciata. Ed è stato fatto con cautela, introducendo gradualmente la pillola che dovremo ingoiare fra la seconda metà del 2010 e l’inizio del 2011.

Inizia a spaventare come i mercati finanziari stanno reagendo ai conti pubblici di Grecia, Spagna e Portogallo e soprattutto spaventa lo spread di 0,90 per cento in più rispetto alla Germania che l’Italia pagava ieri sul suo debito decennale.

Non c’è una buona aria sui mercati per chi promette troppo, parla troppo e spende troppo. Fino a ieri noi avevamo tutte e tre le caratteristiche. Berlusconi ha vissuto il periodo di Tangentopoli a Milano e sa bene che più che per le le ruberie, la gente era indignata dal fatto che quella classe politica aveva portato il paese sull’orlo del baratro finanziario. Continua a leggere

Ecco il trucco del debito pubblico in calo apparente

Da “Il Fatto Quotidiano” di oggi a firma Superbonus

A l contrario di prestigiose testate nazionali, anche economiche, non abbiamo creduto neanche un minuto che il governo tentasse davvero di diminuire le tasse. La realtà dei conti pubblici è spietata. Un brivido corre lungo la schiena del ministro dell’Economia Giulio Tremonti ogni volta che i dati economici internazionali indicano che la ripresa dopo la recessione è più debole e più lenta di quello che si ipotizza nel Documento di programmazione economica e finanziaria del governo. Dal ministero non hanno commentato il dato diffuso, sempre mercoledì, da Bankitalia che il debito pubblico è sceso da 1801 miliardi in ottobre a 1783 in novembre. Infatti chi avesse avuto la pazienza di arrivare a pag. 16 del bollettino statistico della Banca centrale avrebbe scoperto che il debito è calato di 18 miliardi ma la cassa è diminuita di 24 miliardi. In pratica il governo aveva approfittato delle condizioni favorevoli dei mercati finanziari per indebitarsi più di quanto sarebbe stato necessario ed aveva mantenuto la differenza fra debito e spese in un salvadanaio (conto disponibilità) presso l’istituto di Mario Dra ghi.

LA CASSA. A novembre il salvadanaio è stato rotto e dai 72 miliardi depositati ne sono stati ritirati 24. In pratica se a ottobre il Tesoro aveva 1728 miliardi di debito netto (1801 di debito meno 79 di cassa) a novembre ne aveva 1734 (1783 di debito meno 49 di cassa residua) 6 miliardi di debito netto in più. Il professor Tremonti avrà portato questi numeri in Cdm e avrà fatto capire all’illusionista di Arcore che delle due l’una: o si sgonfia la bolla economica provocata da 20 miliardi di spesa corrente in più, si rimanda il piano carceri e si fermano gli scavi del Ponte di Messina, oppure si smonta la balla della riduzione delle tasse. Fra le due ipotesi Berlusconi ha scelto di sgonfiare la balla da lui stesso montata in modo netto e deciso, per non lasciare dubbi d’i n t e r p re t azione alle agli investitori e alle agenzie di rating. A Porta a Porta il ministro dell’Economia ha detto che “ci troviamo in una fase economica molto complicata, non possiamo fare stupide follie” e ancora “il sistema fiscale italiano non è molto efficace e non è molto giusto”, peccato che lo dica chi per sei dei dieci anni passati ha guidato proprio la macchina fiscale e che queste parole vengano dall’ideatore di tre scudi fiscali e innumerevoli condoni che hanno distorto totalmente il concetto di progressività delle aliquote e di fedeltà fiscale. Se le entrate fiscali scendono nel 2009 non è solo colpa della crisi ma anche di un governo (e un ministro) non credibili sul lato della lotta all’evasione e della applicazione delle sanzioni.

LA RIFORMA. Archiviato l’anno con un debito pubblico record, l’equilibr ista Tremonti tenta di tener buono il  mercato finanziari di cui ha disperatamente bisogno per continuare a indebitarsi e il suo elettorato a cui dal 1994 promette di abbassare le tasse. La fune sta diventando sempre più stretta perché all’a u m e n t a re del debito gli investitori diventano sempre più esigenti e meno tolleranti in materia di falsi annunci. L’ultima capriola sulla fune sarà quella di coinvolgere l’o p p osizione in una riforma del fisco talmente generale e rivoluzionaria per alzare le tasse senza dire che lo si sta facendo e questa non è un balla. Il governo Berlusconi forse proverà a confondere le aliquote, le modalità di pagamento, i rimborsi in modo da poter nascondere meglio un aumento della pressione fiscale. Non toccherà le rendite, non farà una lotta senza quartiere all’e vasione fiscale ma anzi trasformerà l’entrata in vigore della riforma nell’occasione per un condono generale, secondo l’antico detto “chi ha avuto ha avuto, scurdammece o’ passato”. Qualsiasi cosa pur di far cassa sempre a spese di coloro che le tasse le pagano veramente. L’opposizione questa volta ha l’occasione di fare veramente gli interessi del paese rifiutando la logica dell’imbroglio fiscale.

NON C’È UN SOLDO

Contiguità Mafia-politica

Ecco Paolo Borsellino il 26 gennaio di 21 anni fa a Bassano del Grappa.

Fini e la mafia, il monito: «Non votate chi vi dice “dammi il voto poi vediamo”»

Ricavo da Il Mattino di oggi 21 dicembre 2009

CALTANISSETTA (21 dicembre) – «La classe politica deve bandire ogni ipotesi di collusione. Tra la politica, le istituzioni e la criminalità organizzata bisogna fare in modo che non ci siano contiguità». È il monito lanciato dal presidente della Camera, Gianfranco Fini intervenuto oggi a Campofranco all’inaugurazione della più grande fabbrica italiani di pannelli fotovoltaici. «Bisogna essere davvero intransigenti nei cronfronti della criminalità organizzata -ha detto ancora Fini- e questo non significa soltanto colpire i criminali, condannarli e fargli scontare la pena, ma significa anche che la classe politica debba tenere fuori ogni collusione». E rivolgendosi alla platea degli intervenuti alla inaugurazione, Gianfranco Fini ha ribadito: «Aiutate voi la politica a migliorare non votando mai chi vi dice ‘dammi il voto e poi vedremo quello che posso fare’ questo è un atteggiamento paramafioso».

Forze armate privatizzate

Forze armate e privatizzate

di Gianluca Di Feo

Tutta la gestione della Difesa passa in mano a una società per azioni. Che spenderà oltre 3 miliardi l’anno agli ordini di La Russa. Così un ministero smette di essere pubblico (http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Ddlpres&leg=16&id=00395768&part=doc_dc-articolato_ddl-art_a2dss&parse=no)

Le forze armate italiane smettono di essere gestite dallo Stato e diventano una società per azioni. Uno scherzo? Un golpe? No: è una legge, che diventerà esecutiva nel giro di poche settimane. La rivoluzione è nascosta tra i cavilli della Finanziaria, che marcia veloce a colpi di fiducia soffocando qualunque dibattito parlamentare. Così, in un assordante silenzio, tutte le spese della Difesa diventeranno un affare privato, nelle mani di un consiglio d’amministrazione e di dirigenti scelti soltanto dal ministro in carica, senza controllo del Parlamento, senza trasparenza. La privatizzazione di un intero ministero passa inosservata mentre introduce un principio senza precedenti. Che pochi parlamentari dell’opposizione leggono chiaramente come la prova generale di un disegno molto più ampio: lo smantellamento dello Stato. “Ora si comincia dalla Difesa, poi si potranno applicare le stesse regole alla Sanità, all’Istruzione, alla Giustizia: non saranno più amministrazione pubblica, ma società d’affari”, chiosa il senatore pd Gianpiero Scanu. Continua a leggere